Un gruppoo tenace e bellicoso di cattolici tradizionalisti va su tutte le furie contro gli ultimi documenti di Papa Francesco sentendosi privati di ciò che ritengono essenziale per loro come cattolici e cristiani: la messa pre-conciliare in latino. In risposta, ci si potrebbe chiedere perché dovremmo volere che il nostro culto sia in una lingua che la stragrande maggioranza del mondo non capisce - e nessuno parla.
Ho vissuto le riforme del Concilio Vaticano II. Ho imparato il latino a scuola e l'ho trovato uno strumento estremamente prezioso per la linguistica, sia nel caso dell'inglese che per le lingue romanze e molte altre. Soprattutto, ne amo il peso, la precisione, la concisione. Come aspirante chierichetto, ho iniziato a imparare le risposte della messa in latino all'età di sei anni, anche se non ho potuto iniziare a servire sull'altare prima dei sette anni e della prima comunione. Un chierichetto più grande veniva a casa nostra e mi insegnava le risposte a memoria. Non mi veniva mai suggerito di capire cosa significassero, ma solo di ripeterle a pappagallo. Questa era la cultura della messa in latino. Io l’ho vissuta ed è una iullusione suggerire il contrario e che l'epoca pre-conciliare fosse caratterizzata da una maggiore devozione. Molti frequentatori della messa, per esempio, recitavano il rosario più e più volte o guardavano i santini nei loro messali mentre la messa procedeva allegramente tra il sacerdote e i servitori dell'altare - tutti con le spalle alla congregazione. La congregazione era separata dalla celebrazione della messa e fra loro.
Quando, anni dopo, ho imparato a parlare l'italiano, ho ripassato per la mente le risposte in latino (che conosco ancora a memoria) e, per la prima volta, ho capito il loro bellissimo significato. Ma la messa in vernacolo è un culto comunitario significativo - per me, il collegamento definitivo tra i fedeli e il divino, sia spiritualmente che fisicamente.
Penso che uno dei grandi errori nella controversia sulla messa in latino sia che coloro che vi sono così attaccati non riescono a vedere che l'attaccamento - come il mio amore duraturo pure per il latino della chiesa e quello profano - è principalmente, o puramente estetico. Se si vuole una grande esperienza estetica, perché non mettere in scena ogni domenica la Missa Solemnis di Beethoven o una messa di Schubert? In realtà, la Chiesa - anche prima del Concilio - non ha mai dato il permesso di celebrare liturgicamente le messe da concerto. Possono essere un'esperienza spirituale? Certamente. Ascoltare una sinfonia di Mahler può essere un'esperienza spirituale travolgente. Sentire Judy Garland cantare It Never was You (https://www.youtube.com/watch?v=IQlwINqlHFE) di Kurt Weill è un'esperienza spirituale. Ma nel culto comunitario, l'estetica è una distrazione da ciò che conta davvero. La riforma liturgica (iniziata molto prima del Concilio Vaticano II, in particolare sotto Pio XII, che oggi non è considerato un innovatore) riguarda il culto comunitario e il fatto di renderlo più genuino e significativo per tutti i partecipanti - e quindi più sincero. Si tratta di comunicare tra noi e con Dio. Perché scegliere una lingua morta per farlo?
Un'illustrazione molto chiara di questa confusione è il fatto che uno dei più vistosi contestatori del passaggio al vernacolo alla fine degli anni Sessanta era Leonard Bernstein, che amava tanto la messa in latino come linguaggio di compositori e opere d'arte gloriose come quelle di Beethoven, Bach, Mozart e Verdi. La sua preoccupazione era puramente estetica. Non era un cattolico, anche se forse era anche affascinato dagli aspetti esteriori del cattolicesimo, quelli che i miei amici anglicani chiamano "odori e campane". Quindi la sua preoccupazione principale non era certo quanto la messa fosse adatta come forma di culto comunitario per i cattolici di tutto il mondo. È interessante, tuttavia, che quando Bernstein fu incaricato da Jackie Kennedy-Onassis di scrivere la sua Messa in memoria di John Kennedy, questa era estremamente contemporanea, principalmente in inglese, vicina nello stile a uno dei suoi musical di Broadway, perché il suo obiettivo era la comunicazione.
Uno dei motivi per cui i Vangeli, gli Atti degli Apostoli e le epistole sono ancora così reali (probabilmente più per coloro la cui sensibilità non è stata offuscata da un'eccessiva esposizione in contesti come la scuola e la chiesa e che non hanno fatto alcun tentativo di valutarli di nuovo da adulti) è la loro assoluta semplicità. Gesù è stato uno dei più grandi comunicatori del mondo. Parlava in modo semplice a persone semplici. Era anche uno dei grandi narratori della letteratura, che usava il potere unico della narrazione per trasmettere idee (e la narrazione sarà sempre sicuramente uno dei capisaldi dell’essere umano) . Uno degli aspetti più sorprendenti dei suoi insegnamenti è l'incredibile conoscenza dell'umanità che li pervade, la comprensione delle motivazioni umane, sia buone che cattive. Mi vengono spesso in mente nella vita quotidiana quelle osservazioni evangeliche molto pratiche sul modo in cui le persone si comportano. Sono ancora validissime.
Questa schiettezza, questa voglia di comunicare, si nota anche nel modo in cui è scritto il Nuovo Testamento. C.S. Lewis ha fatto notare - ed è importante ricordare che la sua professione principale era quella di professore di letteratura inglese a Oxford - che se i vangeli sono falsi, è sconcertante come quattro persone diverse nel primo secolo d.C. abbiano in qualche modo acquisito le competenze del romanzo moderno che sarebbero emerse solo in altri quasi 2.000 anni dopo. Che cosa c'è di più semplice e diretto della storia della Passione di Gesù? Con il suo complesso, ma preciso riflesso della politica dei tempi; la sua commovente storia di odio verso una persona che si è distinta per la sua povertà, tenerezza, compassione e rifiuto del potere; le orribili sofferenze fisiche e spirituali che culminano in una delle forme di esecuzione più dolorose e umilianti mai escogitate dall'umanità - ma alla fine una forza spirituale sconvolgente, che, che siate credenti o meno, si è dimostrata più forte della morte.
L'antica eresia dello gnosticismo, o manicheismo, continua a rialzare la testa nelle chiese cristiane, secolo dopo secolo: l'idea che la conoscenza segreta di misteri nascosti sia più importante del vivere il messaggio d'amore del Vangelo. Questo approccio ha origine in pratiche precristiane come i misteri eleusini dell'antica Grecia, con cerimonie tenute così segrete che oggi non ne rimane traccia. L'ho sottolineato 30 anni fa nel mio libro L'armata del Papa, in cui esponevo le pratiche gnostiche dei cosiddetti "nuovi movimenti" nella Chiesa cattolica. Sono rimasto sorpreso nello scoprire che proprio questo argomento è diventato una delle principali preoccupazioni di Papa Francesco (https://popesarmada25.blogspot.com/2021/03/catholic-gnosticism-according-to-pope.html). Una delle ansiei di Francesco è che lo "gnosticismo contemporaneo" faccia sentire le persone "speciali", diverse, migliori degli altri. Temo che questo sia un elemento dell'aggrapparsi alla messa in latino - in una lingua che nessun altro capisce e con rituali che nessuno può vedere. Penso che questo senso di "mistero" che le persone sembrano trovare nella messa in latino sia pericoloso e possa portare a perdere completamente l'essenza del cristianesimo e della messa: l'amore e la comunicazione nella sua forma più diretta e semplice. L'odio e l'amarezza, anche nei confronti di Papa Francesco stesso, che trovo nelle parole dei bellicosi sostenitori della messa latina - compresi vescovi e cardinali - non esprimono certo l’amore.
Il mondo, e non solo i cattolici, ha più che mai bisogno del messaggio d'amore del Vangelo, assolutamente semplice ed essenziale, verso il quale la messa in lingua volgare, con tutte le difficoltà pratiche che ha dovuto superare, si sta impegnando. Questa è stata la decisione del Concilio Vaticano II nel tentativo di ritornare alla semplicità del Vangelo, il rinnovamento previsto da Papa Giovanni XXIII, il vero grande Papa del XX secolo. Tutto il resto è una deviazione verso il nulla. Tutto deve iniziare e finire con la semplicità del Vangelo, di Gesù.
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